Le indagini
Pochi minuti dopo le nove arriva la prima segnalazione alla Questura. Alle 9:23 si ritrova la prima auto dei brigatisti. Vengono interrogati i testimoni che forniscono una precisa ricostruzione dell'azione brigatista. Nei 55 giorni del sequestro si eseguono centinaia di controlli e perquisizioni senza alcun risultato. Il 18 aprile viene scoperto il covo di via Gradoli. Solo il 24 aprile viene spiccato mandato di cattura contro 9 terroristi latitanti. Il 9 maggio viene ritrovato il cadavere di Aldo Moro
Giovedì 16 Marzo 1978, sono passate da poco le nove quando al centralino della Questura centrale di Roma in via San Vitale iniziano ad arrivare diverse telefonate tutte dello stesso tenore "In via Mario Fani c'è stata una sparatoria"
La centrale dirama il primo ordine alla volante più vicina "«Auto Monte Mario, Monte Mario, recatevi in via Mario Fani, dove si sono sentiti colpi d’arma da fuoco» Al centralino continuano ad arrivare decine di telefonate che segnalano la sparatoria. Nella centrale operativa la tensione sale al massimo.
Pochi minuti e arriva la conferma attraverso la voce concitata di uno degli agenti della volante: «Qui auto Monte Mario, sì, qua è successo qualcosa di grosso»
Domenico Spinella, il capo della Digos, scende di corsa nel cortile e ordina al suo autista di partire a sirene spiegate verso via Trionfale.
In Questura qualcuno collega, la zona dove è avvenuta la sparatoria con il percorso che giornalmente compie la scorta di Moro: lo sgomento aumenta. Ancora una volta sono gli agenti della volante, dopo avere sentito i primi testimoni oculari, a confermare «Sono della scorta di Moro,...hanno sequestrato l’onorevole... e i responsabili sono scappati a bordo di una 128 bianca, Roma M53995. Sono in quattro e vestono divise da marinaio o da poliziotti»
Immediatamente viene dato l'ordine a tutte le volanti : «A tutte le auto, Via Balduina, si è allontanata 132 blu: Roma P79560 e una 128 bianca: Roma M53995, quattro giovani a bordo armati allontanati zona Monte Mario»
Le auto iniziano a setacciare tutta la collina di Monte Mario e alle 9.23 è trovata abbandonata, in Via Licinio Calvo, una strada distante meno di un chilometro da via Fani, la 132 che è servita per il trasbordo di Moro.
Un minuto dopo, alle 9.24, entra in funzione il primo posto di blocco tra la Via Tiburtina e il Gran Raccordo Anulare. Altri vengono attivati nel giro di pochi minuti.
Sono immediatamente avvertiti il Questore di Roma De Francesco e il Capo della Polizia Parlato. Quest’ultimo, dopo aver dato le prime istruzioni per bloccare la zona, telefona al Ministro dell’Interno Cossiga
Mi muovevo dalla mia abitazione verso la Camera dove il Presidente Andreotti doveva rendere le sue dichiarazioni. Mi fermai con la macchina per andare a comprare delle riviste nell’edicola quando un sottufficiale di polizia che prestava servizio di scorta, mi disse che ero chiamato al telefono della macchina del Capo della Polizia. Parlato mi diede le prime notizie, cioè che vi era stata un’azione terroristica nei confronti dell’onorevole Moro. La notizia certa era quella dei morti e poi che l’onorevole Moro era stato rapito. Francesco Cossiga, Audizione del 23/5/1980, CPM1, vol.3, pag 183 e segg.
In Via Fani si recano tutte le più alte cariche della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza. Le macchine delle forze dell'ordine che convergono su Via Fani sono decine, il traffico impazzisce.
«Io mi sono, infatti, ingorgato con due macchine della polizia e ho fatto una gran fatica per salire a Monte Mario perché c’era chi a sirene spiegate saliva e chi discendeva. Tutto questo accorrere non è stato in un certo senso positivo*. Generale Pietro Corsini, CPM1, Audizione 20/06/1980, Pg. 410
Dalle 9:30 si susseguono edizioni speciali di telegiornali e giornali radio. L'incrocio tra via Fani e via Stresa è una bolgia. Le forze dell'ordine, sotto shock per la brutale uccisione di quattro colleghi, non riescono a trattenere giornalisti e comuni cittadini che invadono la strada inquinando irrimediabilmente la scena del crimine.
Coordinate dal Questore De Francesco, dal Procuratore Capo De Matteo, e dal Sostituto Procuratore Infelisi, iniziano i rilevamenti della scientifica e la raccolta delle testimonianze oculari.
Poco prima delle undici, il Consiglio dei Ministri istituisce un Comitato tecnico-operativo per seguire le fasi del rapimento.
Vengono istituiti posti di blocco lungo tutte le vie consolari, chiunque entra od esce dalla città è sottoposto a perquisizione. Roma è isolata dal resto del paese.
Verso le 18,00 al termine di una riunione in Procura, De Matteo accenna alla preparazione del commando brigatista, assicurando che si tratta, data, la complessità dell'azione, di specialisti con un alto grado di preparazione. Luciano Infelisi, il Sostituto Procuratore di turno, parla di un'arma di fabbricazione russa mai usata prima dai terroristi.
Il giorno successivo 17 marzo un verbale redatto dalla Questura di Roma sulla base dei rilevamenti e delle testimonianze fornisce una prima ricostruzione dell'agguato:
Si è potuto così stabilire che verso le ore 9 la Fiat 130 targata Roma L 59812, guidata dall'app. dei Carabinieri Ricci Domenico e con a bordo l'on.le Aldo Moro ed il maresciallo dei Carabinieri Leonardi Oreste, mentre percorreva via Mario Fani, seguita dall' Alfetta targa ta Roma S 93393 f con a bordo la scorta dell'Ispettorato generale di P.S. presso il Viminale (brg. P.S. Zizzi Francesco e guardie di P.S.lozzino Raffaele e Rivera Giulio, quest'ultimo autista), giunta all'incrocio con via Stresa, è stata improvvisamente bloccata da una Fiat 128 familiare, targata CD 19707, che retrocedeva da via Stresa verso via Fani.
Contemporaneamente, quattro individui indossanti divise di personale di volo dell'Alitalia, armati di mitra ed appostati sul lato sinistro della strada, hanno aperto il fuoco contro la Fiat 130, dopo averne infranto il cristallo sinistro anteriore con il calcio di un mitra, e l'Alfetta, colpendo quattro degli anzidetti militari rimasti a bordo.
Il quinto militare, la guardia di P.S. lozzino, sceso dall'autovettura impugnando la pistola d'ordinanza, è stato a sua volta raggiunto da alcuni colpi di pistola esplosi da uno dei terroristi.
Almeno altri due malviventi sorvegliavano la strada, disposti uno lungo via Fani dietro le autovetture assalite, l'altro, una donna, al l'incrocio con via Stresa.
L'on.le Moro è stato, quindi, prelevato. trascinato via e caricato su 'una Fiat 132 di colore bleu, sopraggiunta all'istante, che si è allontanata con a bordo i quattro" terroristi travestiti da dipendenti dell'Alitalia, in direzione di via Trionfale, unitamente ad altre due . autovetture Fiat 128", una bianca l'altra bleu, e ad una moto Honda con a bordo gli altri complici.. Verbale della Questura di Roma, 17 Marzo 1978, CPM1, vol. XXX, pag 34.
Lo spiegamento delle forze dell'ordine, durante il periodo del rapimento, è mastodontico. La relazione della 1° Commissione Moro riporta le cifre dell'operazione:
...vennero assegnati alla Questura di Roma 1.030 militari di PS, 100 guardie di finanze e 900 carabinieri [...] anche l'esercito venne chiamato alla realizzazione della cintura di controllo con l'impiego di 1000 uomini.
Nella sola città di Roma, nei 56 giorni del rapimento, furono eseguiti 6.296 posti di blocco, 17.756 pattugliamenti, 6.933 perquisizioni domiciliari. Ma al di la dei numeri la verità è che Forze dell'ordine e Magistratura erano ancora totalmente impreparate davanti al fenomeno brigatista.
Infelisi cosi spiega la situazione:
Pochi istanti dopo l'eccidio e il rapimento poteva, doveva scattare non un piano già prestabilito, ma indubbiamente un certo meccanismo e una certa organizzazione che avrebbe dovuto produrre comunque una certa reazione. Ho visto che vi è stato un impegno e un sacrificio di uomini, di carabinieri e di polizia, veramente notevole; ma nello stesso tempo ho constatato che mancavano, specialmente in settori più specializzati, i carabinieri e la stessa Digos, totalmente di strumenti. Non voglio riferirmi ai cosiddetti cervelli elettronici o alle banche dei dati che allora, nel 1978, erano cose inconcepibili, ma vorrei dire che mancavano le cose anche più modeste, come gli schedari; funzionari a Roma che si intendessero di estremismo di sinistra, che sapessero più o meno chi erano i soggetti e dove gravitavano. Questo non esisteva. L'aspetto investigativo mancava to
talmente, c'era carenza assoluta, [...] durante tutti i 55 giorni non abbiamo mai avuto, almeno io come magistrato, una collaborazione, un contributo documentale anche a livello informativo da parte dei servizi di sicurezza.1° Commissione Moro Vol. 7 . pag.124
Malgrado che Giovanni De Matteo, Procuratore Capo, avesse dichiarato la sera stessa della strage:
«Da questo momento mi assumo tutta la responsabilità dell’inchiesta e agirò in collaborazione con un gruppo di magistrati delegando di volta in volta, ad ognuno di loro le incombenze necessarie. Un solo sostituto non può tenere sotto controllo l’intera situazione; quindi è preferibile un lavoro collegiale, sotto un’unica direzione»
di fatto le indagini sono coordinate dal solo Sostituto Procuratore di turno Luciano Infelisi, il quale, così descriverà la situazione in cui lavorava:
Nel periodo in cui io conducevo quell'indagine il mio ufficio non disponeva di nessun ufficiale di Polizia giudiziaria: io conducevo le indagini con una dattilografa e le dirò di più! Non avevo, nella mia stanza, il telefono per cui le telefonate più riservate sono state fatte con un telefono a gettoni situato nel corridoio; è una questione che non volevo toccare per non dare delle pennellate: uno potrebbe anche riderci sopra; comunque è una verità ed è controllabile perché allora feci una denuncia per avere anche quel minimo rappresentato dal telefono. Idib pag. 128.
A spiegare la precarietà delle situazione basti citare quanto succede il
25 marzo, giorno in cui le Br recapitano il comunicato n°2. Appena sono venuti in possesso del nuovo messaggio, i funzionari della Questura cercano di contattare il Sostituto Procuratore Infelisi (nella foto accanto) Malgrado diversi tentativi, però, risulta irreperibile.
Viene così contattato il Procuratore Capo, Giovanni De Matteo. E’ lui che, in assenza di Infelisi, partecipa alla riunione indetta, nel tardo pomeriggio, dal Ministro Cossiga per esaminare il comunicato delle Br
Malgrado le ricerche, per ore non si sa dove sia finito il Sostituto Procuratore si ipotizza un suo viaggio a Torino per un incontro col magistrato che segue le indagini su l’omicidio Berardi, oppure una trasferta in Germania per un incontro con il giudice che segue il caso Schleyer.
Solo a tarda notte finalmente, Infelisi, viene rintracciato era in Calabria a casa del padre in non buone condizioni di salute.
L’irritazione del capo di Infelisi, De Matteo è evidente e resa pubblica, tanto che tutti i giornali riportano la notizia specificando che “Infelisi ha avuto una lunga ed animata discussione con il dottor De Matteo"
Della mancanza di progressi nelle indagini, i politici ne sono ben consapevoli. Amintore Fanfanii scrive nel suo diario il 24 marzo: "Il macchinoso apparato di polizia, carabinieri e truppe non riesce a concludere nulla” Concetto ribadito due giorni dopo da Giulio Andreotti che, anche lui nel suo diario, conferma: "Lungo colloquio con Cossiga e Parlato. Gran buona volontà, ma il buio non si dirada”
Nel buio totale si tentano tutte le strade anche quella dei sensisitivi. Dirà Agnese Moro, figlia del leader DC:
«Le indagini andavano avanti in modo a di poco discutibile; il Viminale ci mandava dei veggenti che ci chiedevano abiti indossati da papà. Così dicevano avrebbero scoperto la prigioni.»
Soltanto il 20 aprile Infelisi presenta al Procuratore Capo De Matteo la richiesta di una serie di ordini di cattura per alcuni terroristi latitanti.
De Matteo non firma subito, si prende una pausa di riflessione consapevole che «Allora la vita dell'onorevole Moro era appesa ad un filo ed ogni passo poteva avere una influenza contraria»
Passano 4 giorni e il 24 aprile la Procura della Repubblica di Roma emette ordine di cattura nei confronti di Corrado Alunni, Prospero Gallinari, Patrizio Peci, Enrico Bianco, Franco Pinna, Oriana Marchionni, Susanna Ronconi, già colpiti da provvedimenti restrittivi della libertà, tutti latitanti, e di Adriana Faranda e Valerio Morucci, irreperibili, per i reati relativi alla strage di via Fani e al sequestro dell'onorevole Moro.
Il 29 aprile il Procuratore generale Pascalino avoca l'inchiesta «per ragioni di opportunità». L'avocazione, avvenuta subito dopo l'emissione dei mandati di cattura suscitò non poche polemiche, prime fra tutte quelle dello stesso Sostituto Procuratore Infelisi che la ritenne ingiustificata.
Pascalino così motiverà la sua decisione:
L istruttoria sommaria da parte della Procura della a Repubblica credo
si sviluppò in modo piuttosto disordinato, cercando di perseguire le persone indicate, questo, però, con nessuna speranza, ripeto, perché queste persone certamente non stavano lì ad attendere che venisse loro notificato 'ordine di cattura. [...] io ebbi l'impressione che questo processo, che era evidentemente un processo che doveva essere istruito in formale e non con la procedura sommaria perché richiedeva indagini lunghe e complesse e perizie che pò hanno richiesto dei mesi, sui bossoli, sui proiettili e su tutte le tracce che erano rimaste sul luogo del delitto, fosse, come dire, un po' trattenuto dalla
Procura della Repubblica, mentre, invece, perché la legge lo prescrive era opportuno che fosse passato alla istruzione formale. 1° Commissione Moro vol. 7 pag. 174.